giovedì 14 gennaio 2016

Aldo Sardoni per Gianni Pezzani

"Anthologia" è una mostra divisa in parti, ogni parte, ogni progetto, è racchiuso in una stanza e questo consente al visitatore di raccogliersi, anche fisicamente, con esso così da poterlo apprezzare e comprendere meglio.
Il percorso fotografico di Pezzani è lungo, così i progetti fotografici, nei decenni, sono stati pensati e realizzati in modo assai diverso fra loro.
Uno di questi riguarda le fotografie notturne, in particolar modo "Milano di notte".
In occasione della mostra Aldo Sardoni ha scritto l'introduzione alle immagini notturne, che può essere letta durante la visita all'esposizione.
Per una maggiore divulgazione, Sardoni gentilmente ci ha inviato il testo che di seguito pubblichiamo, con l'augurio che sia utile a chi vorrà approfondire i progetti fotografici notturni di Gianni Pezzani anche se non ha avuto la possibilità di andare a Parma per vederli di persona.




Milano di Notte

Milano di notte, assieme al  lavoro su Parma e Brescia, sono tre lavori di Gianni Pezzani che trovo estremamente interessanti nel panorama della fotografia contemporanea italiana, non solo per la qualità dell’immagine fotografica in se, ma anche e soprattutto per il progetto ed il periodo in cui è stato realizzato.
Oggi molti fotografi, forse anche grazie al lavoro di Gianni, amano cimentarsi di notte nelle città.
Pezzani è uno sperimentatore indomito probabilmente di fede nichilista, così da dare senso alla propria vita mantenendo viva le sete di conoscenza e di indagine continua, alla ricerca del piacere perpetuo. Un continuo movimento che lo porta spesso in strade diverse, a volte vicoli stretti ed incerti, spesso non riconducibili a quelle già percorse.
Affrontando i tre progetti notturni è magicamente diventato un fotografo romano, benché sia di nascita e cultura emiliana.
Osservando le sue fotografie si entra in un mondo barocco, nell’impostazione compositiva e nell’uso della luce l’autore riesce abilmente a costruire un paesaggio urbano altrimenti invisibile benché sotto gli occhi di tutti giungendo così a realizzare una delle magie della fotografia, forse la più ambita dai fotografi.
Un Barocco romano come quello costruito da Borromini e Bernini, inventori della Roma che oggi percepiamo oniricamente; costruita tutta nella nostra mente più o meno negli ultimi cinquant’anni ed assai diversa dall’aspetto attuale, una mappatura mentale che lega forma e luce dando luogo a stilemi visivi che rimandano alle figure arrotondate e goderecce ed alla loro luce unica.
Se si osserva Sant’Ivo alla Sapienza o il Convento de’ Filippini si capisce ancora meglio perché considero Gianni Pezzani un autore barocco nel trattamento della luce e nella composizione dell’immagine. Mi riferisco all’aspetto architettonico non a quello pittorico a cui spesso per vicinanza del mezzo espressivo si accostano le immagini fotografiche.
Il Barocco romano contiene in se una propria tematica dell’edonismo, che è facile incontrare osservando l’intera serie di fotografie e che arriva al suo culmine con l’immagine icona del progetto: Montenapoleone.
Montenapoleone contiene tutti gli elementi dell’edonismo milanese, la famosa via, le sue architetture, l’automobile sportiva lussuosa e “diversa” in primo piano, tutto sospeso in un’atmosfera irreale quasi fosse un set cinematografico appositamente costruito per invitarci ad una riflessione più approfondita del nostro modo di percepire e vivere il mondo.
Caravaggio con i suoi lavori professava l’adesione alla realtà così come davvero è, con le sue miserie, le prostitute, i bari, i ladri, ecc., Pezzani viceversa costruisce una realtà diversa dal reale senza alcuna manipolazione digitale ma solo con i mezzi propri del fotografo. Si comporta come un autore fotografico più che come un fotografo nel senso corrente del termine. Un artista che ha bisogno della macchina fotografica per scrivere, così come un pittore usa il pennello o uno scrittore la penna. Non ci si trova davanti alla stupidità digitale, importata dal mondo pubblicitario ed alimentata dalla tecnologia che consente a chiunque di fare il fotografo, di colpire lo spettatore con effetti speciali trasfigurando le immagini in una superfetazione plurima di artifici necessari quasi sempre a stupire per sopperire alla mancanza di cose da dire.
Non è Hollywood ma l’Europa.
Non indaga la parte esteriore, ma la nostra coscienza.
Siamo il Continente di Schopenhauer, Nietzsche, Freud, e questo si percepisce nel Pezzani notturno.
Osservando attentamente le immagini si sente la presenza dell’essere umano benché non si veda, allo stesso modo di Gabriele Basilico Pezzani non inserisce la figura umana nelle sue composizioni, non ama il ritratto eppure questo senso di isolamento paradossalmente ci rimanda alle persone che non ci sono ma hanno costruito e vissuto ciò che si vede.
Non fotografandole l’autore ci consente di immaginarle fornendo ad ogni spettatore la possibilità di un’interpretazione diversa.
Non è solo il buio che affascina ma il compimento di un lavoro assai articolato e significante; in cui ritrovo il pensiero di Jeff Wall quando scrive che “l’immagine occidentale naturalmente, è quella del tableau, quella raffigurazione e composizione, bella in sé, che deriva dall’istituzionalizzazione della prospettiva e della figurazione drammatica alle origini dell’arte occidentale moderna, con Raffaello, Dürer, Bellini, e gli altri ben noti maestri(1).
In particolare Milano di Notte, il cui fascino è certamente legato anche alla bellezza e dimensione della città rispetto alle altre due, mi sembra che contribuisca a stare dentro l’idea nietzscheana della Nascita della Tragedia :
“Avremo conquistato molto per la scienza estetica quando saremo giunti alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente” (2).
Gianni Pezzani costruisce una Milano dionisiaca, una realtà metafisica che è tipica della costruzione dell’ arte.
La sua ricerca ora lo sta portando in altri luoghi i cui esiti conosceremo altrove.

© 2015 Aldo Sardoni | Milano
                                                                                                      Riproduzione riservata



(1)     J. Wall, Scritti sull’arte e la fotografia”, Quodlibet, Macerata, 2013

(2)     F.W. Nietzsche, La nascita della tragedia”, Adelphi, Milano 1977

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