Gianluigi di Napoli
Noema Gallery da oggi ha fra i suoi fotografi Gianluigi di Napoli, che dal 2003
lavora continuativamente con Vanity Fair oltre che per altri importanti giornali.
Il lavoro presentato è parte del
progetto Masks, con i ritratti di:
Federica Pellegrini, Petra Conti, Paola Minaccioni, Nathalie Moellhausen, Valeria Solarino, Livia Azzariti, Babsi Jones, Maria Buccellati.
Federica Pellegrini, Petra Conti, Paola Minaccioni, Nathalie Moellhausen, Valeria Solarino, Livia Azzariti, Babsi Jones, Maria Buccellati.
Sulla
maschera si sono riempite intere biblioteche, pertanto non vorrei aggiungere
altre considerazioni che probabilmente risulterebbero scontate o già dette, preferisco riportare un’intervista che di Napoli ha
rilasciato ad Elena Chiocchia sul sito Design Playground (www.designplayground.it)
, dove è lo stesso autore a raccontare il progetto.
Masks project, Gianluigi di Napoli per AIPI
Elena Chiocchia, 10 dicembre 2013
Raccontaci innanzitutto come è nata l’idea di questo progetto.Avevo da poco realizzato un libro per David Larible che all’epoca era la star più importante del mitico circo americano Ringling Bros. and Barnum & Bailey, conosciuto come The Greatest Show on Earth. Avevo osservato un contrasto interessante tra la fisicità concreta e definita della vita quotidiana di David e il suo essere un personaggio tondeggiante, quasi disneyano sulla pista. Inoltre mi aveva colpito il fatto che David usa trucchi e colori femminili per il suo trucco scenico e questo rendeva il suo volto, nello show e tra le quinte, un continuo rincorrersi di contrasti e inedite combinazioni espressive.
Così mi sono chiesto se non fosse stato possibile ribaltare il concetto che vuole il clown dei nostri tempi solitamente di genere maschile, rassicurante e asessuato. Ho cominciato ad inseguire l’idea di proporre a delle donne eccellenti e diverse tra di loro di interpretare la maschera del clown chiedendo loro di proporre, per contrasto, una loro idea di sensualità e di autenticità. Sapevo che sarebbe stato un contrasto molto forte, ma avevo anche paura che il concetto potesse essere difficile da proporre: per una donna il proprio aspetto è molto importante, specie se ha un’immagine pubblica, ed effettivamente il rischio di creare delle immagini grottesche era molto alto. Inoltre uno degli elementi basilari del progetto prevedeva, per motivi di coerenza, l’assenza di interventi correttivi di post produzione sia sul ritratto truccato che su quello al naturale.
Normalmente già solo proporre ad una attrice di rendere pubblico un ritratto non ritoccato può diventare uno scoglio insuperabile. Invece devo dire che le testimonial che hanno posato sono riuscite a comprendere il progetto in modo straordinario e nei loro commenti hanno apportato dei dettagli che mi hanno aiutato a capire anche più a fondo il progetto.
L’AIPI è un’associazione volta alla ricerca e alla cura contro l’Ipertensione Arteriosa Polmonare, malattia rara, degenerativa e fortemente invalidante, che colpisce soprattutto le donne. C’è un motivo per cui hai scelto di sostenere questa associazione in particolare?
Avevo molta voglia di aiutare concretamente qualcuno con il mio lavoro, ma ovviamente volevo anche conoscere bene l’associazione che ne avrebbe tratto vantaggio. Quando ho conosciuto Pisana Ferrari, la presidente dell’AIPI, ho capito subito che la sua associazione era quella adatta. Lei è una donna straordinariamente coraggiosa e forte ed é la testimonianza vivente dell’importanza dell’informazione nel combattere l’ipertensione polmonare. Anni fa lei stessa si é ammalata di questa malattia e questo avrebbe avuto conseguenze fatali se non fosse stato possibile sottoporla tempestivamente al trapianto bilaterale dei polmoni.
Perché hai scelto il tema della maschera per il tuo progetto?
Avevo riflettuto a lungo sul tema della maschera pensando ad un libro di Henry Miller, Il sorriso ai piedi della scala, dedicato ad un clown di successo che vorrebbe, al posto di risate ed applausi per la sua arte, ricevere la certezza di riuscire a trasmettere il suo amore e le sue intime scoperte sulla vita. Riesce a trovare la sua chiave di espressione in scena quando accetta finalmente se stesso. Secondo Miller, la maschera del clown può metterci in contatto con una parte profonda e sana di noi stessi e riconoscerla in altri. Mi sembrava un interessante concetto. In seguito Pisana Ferrari, mi ha fatto notare che la malattia costringe spesso ad indossare una maschera per nascondere la verità a chi amiamo e talvolta anche a noi stessi, anche se contemporaneamente può dare una grande energia utile per affrontare il mondo.
Luigi Pirandello, che sulla maschera ha fondato la propria letteratura, ha vissuto il dramma di una moglie affetta da una grave malattia. Credi sia casuale? O c’è un rapporto viscerale tra i drammi della vita e il portare una maschera?
Effettivamente quella della malattia è un’esperienza umana molto sensibile alle reazioni del contesto sociale in cui si vive, spesso molto difficili da gestire. Ovviamente ne risente anche chi vive insieme al malato, che vede spesso le costruzioni dei rapporti sociali scricchiolare di fronte a qualcosa di ineluttabile come la malattia. Credo che Pirandello possa aver ben percepito questo fenomeno, avendo avuto la moglie affetta da un problema mentale. Questa situazione infatti rende particolarmente vulnerabili nei confronti della società non solo chi è affetto dal male ma anche e forse maggiormente, in quanto consapevole e “normale”, chi gli vive accanto.
A me sembra che il clown, essendo una maschera consapevole dotata di lucida follia, potrebbe avere il potere di annullare la famosa triplicità esistenziale di Pirandello (come il personaggio vede se stesso, come è visto dagli altri e come crede di essere visto dagli altri) creando uno spazio lontano dal mondo dove tutto è permesso e tutto ha la stessa innocenza dei bambini o dei folli, cercando di convincerci che tutto nella vita ha la stessa, enorme importanza.
Tra le maschere esistenti tu hai scelto forse quella universalmente più riconoscibile: il clown. Perché?
Quella del clown è una maschera speciale, anzi in realtà sarebbe inesatto definirla maschera proprio perché non é rigida, ma aderisce perfettamente alla pelle lasciando passare, distorti, i lineamenti e le espressioni del viso. Quello che ci propone la maschera del clown é un’identità profondamente alterata eppure assolutamente autentica. Trovo emblematico che David Larible sostenga che spesso lui non sa mai veramente bene se é truccato oppure no, sentendosi perfettamente a proprio agio sia con la maschera da clown che senza. Durante le riprese del nostro libro avevamo fatto delle foto nell’oceano con il trucco da clown. Quando abbiamo finito David si é infilato un accappatoio, senza struccarsi, e siamo ritornati con la sua auto allo stadio dove il Barnum teneva gli spettacoli guidando per le strade di Houston. Era interessante essere in macchina con un tipo in accappatoio, truccato da clown, che mi faceva notare come gli americani andassero in giro conciati in modo tanto strambo.
L’aspetto curioso è che quello delle modelle non è un trucco qualunque, ma il trucco realizzato da un clown. La maschera che trasforma in maschera qualcun’altro è un tema interessante. Non ti sembra una metafora nella metafora?
Trovo che sia stata l’unica possibilità di realizzare in modo onesto questo progetto. Ci sono molte fotografie più o meno belle realizzate da bravi make up artist. Volevo però che il progetto fosse affidato a qualcuno che conosce la maschera del clown come se stesso, e questo poteva essere solo un grande clown come David Larible. Lui ha progettato tutte le maschere adattando perfettamente maschere tradizionali e modificandole su ogni testimonial. Ci siamo avvalsi anche della collaborazione di validissimi make up artist di fama internazionale come Valeria Orlando, David Jones, Cristine Dupuis e Mikaela Alleison che lo hanno aiutato seguendo la sua supervisione e riuscendo ad comprendere perfettamente l’essenza di questo progetto. Una straordinaria manifestazione di professionalità e umiltà.
Non è la prima volta che tratti il mondo del circo e la figura del clown nei tuoi lavori. Come mai questo legame?
In effetti ho una grande attrazione per il circo e soprattutto per la sua gente. Sono molto attratto dai colori, dalla provvisorietà di questo mondo e dalla lontananza dalla realtà che si percepisce, anche se paradossalmente la gente del circo è tra la gente più concreta e pragmatica che io conosco. Mi affascina il fatto che la loro routine sia di salire su un trapezio a quindici metri di altezza e fare salti mortali, mentre siano estremamente vulnerabili in cose che per il resto del mondo sono scontate, tipo dover provvedere ogni quattro o cinque giorni all’allacciamento dell’acqua e dell’energia elettrica o poter essere al sicuro se si scatena una tempesta. Mi affascina anche il tema del loro nomadismo colorato ma disciplinatissimo e della grande forza attrattiva rappresentata dalla famiglia. Trovo che siano elementi che possono essere, almeno nominalmente, in grado di proporre un concetto di realtà ad un mondo che forse a volte rischia di diventare un po’ troppo virtuale e superficiale.
Questo è stato sicuramente un progetto ambizioso. Quanto tempo hai impiegato per la realizzazione?
Ci ho messo pochissimo tempo per maturare il progetto, che mi é stato subito assolutamente chiaro. Diverso é stato far combaciare tutti i tasselli. Era molto difficile far coincidere tutto nello stesso momento e perché ciò succedesse ci sono voluti più di tre anni.
Da questo progetto è nata una mostra realizzata durante il MIA Fair 2013 e un calendario, le cui vendite sono destinate a contribuire al finanziamento dell’associazione. Ce ne vuoi parlare?
L’invito di Fabio Castelli, il direttore di Mia Fair, di entrare a fare parte della fiera come progetto speciale è stato il punto di svolta per questo progetto. Siamo stati ospitati in una sede grande e prestigiosa, la MyOwnGallery e la mostra ha potuto avere una formidabile visibilità. In seguito è stata ospitata dal nell’Archiginnasio di Bologna, la più antica sede universitaria del mondo in occasione del Convegno Internazionale sull’Ipertensione Arteriosa Polmonare. Il calendario è uno dei premi di ringraziamento per le offerte dei sostenitori del progetto. A fronte delle donazioni sarà possibile ricevere il calendario MASKS 2014, opere a tiratura limitata e per donazioni più importanti è possibile diventare clown per un ritratto realizzato da me con un trucco progettato in esclusiva da David Larible.
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Aldo Sardoni 2013