martedì 26 aprile 2016

Matteo Guariso #Luce




Pubblichiamo in anteprima il testo di curatela che Aldo Sardoni ha preparato per la mostra di Matteo Guariso al Milan Image Art Fair 2016, per chi non avrà la possibilità di venire a vedere la mostra.
Ringraziamo per questo L'autore che ce lo ha fornito.

Matteo Guariso | Luce
Osservando il lavoro di Matteo Guariso sulla Centrale Termoelettrica di Trezzo d’Adda il mio pensiero è andato subito ai tre registri lacaniani:
-        L’Immaginario
-        Il reale
-        Il Simbolico
L’Immaginario è ciò che avviene nel pensiero, il Reale avviene fuori da noi, il Simbolico è il linguaggio che è struttura dell’inconscio.
La scelta di lavorare su un edificio industriale attivo senza rendere il risultato una mediocre rappresentazione di ciò che è, ha rappresentato un grande rischio.
Scivolare nella banalità del tema producendo un risultato utile al marketing aziendale o all’archivistica era davvero facile.
Sarebbe stato uno shooting professionalmente corretto ma totalmente inutile per la fotografia d’autore.
In realtà Matteo ha prodotto un lavoro molto interessante, utilizzando la centrale idroelettrica per raccontarci altro; l’edificio è un espediente necessario per portarci altrove.
Questo è il motivo per cui associo il progetto ai tre registri di Jaques Lacan.
Le immagini fotografano un edificio vero (il Reale) posto dinnanzi all’obiettivo, niente farebbe pensare che il fotogramma non rappresenterà davvero quello che si vede andando sul luogo e invece il pensiero di Guariso lo trasforma in altro (l’Immaginario) per descriverci uno spazio interiore attraverso la trasformazione dell’immagine ed il linguaggio dell’autore (Il Simbolico).
Tema attraente e permanente in quasi tutti i suoi lavori, ci traghetta nel buio in posti sconosciuti che ognuno di noi declinerà secondo le proprie esperienze e la propria cultura.
Pertanto questo lavoro ci obbliga al pensiero, a soffermarci per cercare di capire, non si limita al puro senso estetico comune; direi che per tale motivo è un lavoro difficile al primo sguardo, ha bisogno di tempo perché forse è proprio dentro il tempo che l’autore ci invita ad entrare.
In questo senso potrebbe avvicinarsi all’idea di opera d’arte di Lev Tolstoj quando dice che “L’arte non è, come dicono i metafisici, la manifestazione di qualche misteriosa idea, della bellezza o di dio; non è, come dicono i fisiologi, un giuoco in cui l’uomo sfoga le superflue energie accumulate; non è la manifestazione di un’emozione per mezzo di segni esteriori; non è la produzione di opere

gradevoli; e, ciò che più importa, non è godimento; ma è un mezzo di comunicazione che riunisce gli uomini accomunandone le sensazioni, ed è necessario alla vita e al progresso verso il bene del singolo uomo e dell’umanità.”
Matteo trascende, trasforma, cerca visioni oltre l’immagine, in una parola: comunica.
Trasmette questo a chi guarda le sue fotografie in generale e quelle della Centrale idroelettrica di Trezzo sull’Adda in particolare ché rappresenta  uno dei suoi lavori migliori.
Non riproduce ciò che ha davanti all’obiettivo ma utilizza il soggetto per creare altro; lontano da quel che si vede realmente.
Oppure quel luogo è davvero così e noi non riusciamo a percepirlo se non attraverso le sue fotografie?
Si coglie un forte desiderio di entrare nel mondo nascosto dell’immagine, di avere un contatto con le parti celate e poco conosciute del mezzo fotografico. Forse li è racchiuso qualcosa che vale la pena di fotografare.
Mi sembra che Matteo concentri la sua ricerca all’interno di questo “non luogo” per farcelo conoscere e vedere. Certamente il suo interesse per la psicologia ha contribuito fortemente alla formazione della sua poetica, abituandolo a suggerire piuttosto che dichiarare.
I suoi lavori non parlano dell’attualità, cercano di proporci percorsi meno battuti, meno accomodanti e rassicuranti.
Non è presente un significato univoco ma piuttosto l’idea di indicare un percorso che inevitabilmente sarà diverso per ogni osservatore e questo lo rende particolarmente interessante.
Si comporta come un autore fotografico non come un fotografo. Mi soffermo spesso su questa mia definizione perché ritengo sia importante insistere sulla sua descrizione per affrontare la visione di un progetto fotografico con un approccio più consapevole.
L’ autore fotografico è una figura relativamente recente, come peraltro lo è la fotografia rispetto alle altre arti, ed ancora in fase di definizione e riconoscimento pubblico; cosa non facile visto che la stessa fotografia fa fatica ad essere universalmente riconosciuta come forma d’arte.
L’ Autore è diverso dal fotografo, entrambi utilizzano la macchina fotografica ma questa è l’unica cosa in comune che hanno.
Il primo è vicino al concetto di artista, fa della propria necessità espressiva un elemento fondante della sua  esistenza sentendola come un bisogno assoluto ed incontrollabile indispensabile alla vita.

Il secondo è un professionista che svolge un incarico in modo tecnicamente impeccabile e funzionale a chi glielo ha richiesto, così, ad esempio, avrebbe fotografato la centrale di Trezzo d’Adda perfettamente illuminata, a fuoco, con le composizioni ben bilanciate, ecc., fornendo un prodotto finito pronto per le richieste del committente.
Sono due modi completamente diversi di utilizzare il mezzo fotografico, entrambi con un proprio statuto e pari dignità ma comunque differenti.
Tengo molto a questa distinzione perché ci permette di porci davanti al lavoro di un Autore in un modo maggiormente attento e partecipato, molto più vicino a quello che avremmo durante la visita ad un museo.
E’ necessario costruire la propria sensibilità, la capacità di osservare, così come devo imparare la matematica se voglio leggere un testo in cui compaiono integrali e funzioni, allo stesso modo devo costruire in me le condizioni affinché ciò che vedo possa permearmi  dandomi significato.
L’approccio è importante in questo tipo di immagini, perché non stupiscono immediatamente per la loro bellezza né contengono effetti speciali che catturano immediatamente l’attenzione di chi guarda. Sono immagini che diventano belle man mano che si guardano, teoricamente bisognerebbe avere la possibilità di passarci davanti ogni tanto e fermarsi ad osservarle, come faceva Michelangelo con i suoi disegni mentre li preparava. Non andavano bene subito, li attaccava al muro ed ogni tanto li  guardava per apporvi o meno delle correzioni; per parlarci.
E’ un approccio lento quello che propongo per entrare nel mondo di Matteo Guariso, un criterio teorico perché certamente non si ha la possibilità di osservare le sue fotografie passandoci davanti ogni tanto; ma è un suggerimento che contiene in se alcune possibilità di avvicinamento al suo lavoro.
Luce è un lavoro lento che ha bisogno di meditazione, si oppone all’ebetismo retinico a cui ci stiamo abituando con il bombardamento di miliardi di immagini provenienti da ogni luogo e confluenti quasi tutte su uno smartphone od un tablet.
Non escono quasi mai dai dispositivi, non diventano quasi mai qualcosa di toccabile, sono tutte virtuali ed impalpabili; non hanno uno spessore, né consistenza, né odore, né peso.
Sono tutte miseramente inesistenti.
Luce invece chiede di porci davanti a lei per guardarla attentamente e lentamente perché esiste, solo così è possibile che ci prenda per mano e ci porti con se.


Chiudo questo breve commento chiedendo aiuto a Proust che dice “la parola è fatta di una sostanza chimica impalpabile che opera le più violente alterazioni”.
Credo che questo lavoro possa essere sintetizzato dicendo che la fotografia e la mente del suo autore sono fatte di una sostanza chimica impalpabile che opera le più violente alterazioni.
Buona visione.
Milano, 28 aprile 2016

                                                                             

©2016 Aldo Sardoni   (Art Director | Noema Gallery)  RIPRODUZIONE RISERVATA




Jaques Lacan (Parigi1901|1981).
Lev Tolstoj, Che cos’è l’arte?, Donzelli Editore, 2010, pag.60.
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto V  La Prigioniera, in Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 2014, pag. 24.

venerdì 22 aprile 2016

Aldo Sardoni e Matteo Guariso in mostra al Milan Image Photo Fair 2016

"Sacralità Laica" è il lavoro che Aldo Sardoni e Matteo Guariso presentano al Milan Image Photo Fair 2016.
Noema Gallery quest'anno ha voluto presentare una nuova formula di mostra, un incontro/scontro fra due autori che interpretano un tema comune in modi diversi.
Aldo Sardoni presenta "Nihil|CSC" un lavoro sulla Centrale termoelettrica di Santa Caterina nel Sulcis-Iglesiente, primo elemento di un progetto più articolato che prevede altri capitoli sul tema dei luoghi di lavoro del XX° secolo.
Matteo Guariso presenta "Luce" una serie fotografica sulla Centrale termoelettrica di Trezzo d'Adda, ancora attiva.
L'insieme dei due lavori ha preso il nome di "Sacralità Laica" che è diventato il titolo della mostra.

MIA PHOTO FAIR 28 aprile - 2maggio 2016  The Mall Porta Nuova Varesine - piazza Lina Bo Bardi 1 Milano.

STAND 14 | CORRIDOIO A 
Orario 11/21 - domenica 10/20 

sabato 5 marzo 2016

Gianni Pezzani in mostra da Noema Gallery

Parte della mostra Anthologia di Gianni Pezzani si è trasferita da Parma alla nostra galleria in via solferino ang. Castelfidardo a Milano.
Noema Gallery rimarrà aperta per una settimana tutto il giorno, chiuque fosse interessato al lavoro di Pezzani può avvicinarsi in galleria per vederlo dal vivo ed eventualmente acquistarlo o noleggiarlo.







martedì 26 gennaio 2016

Marco Lanza | DEPOSITI Immagini dai Musei Italiani

Marco Lanza (autore rappresentato da Noema Gallery), ha inaugurato a Firenze la sua mostra sui depositi dei musei italiani.
Mostra bellissima sia per l'allestimento ed il luogo espositivo che per le splendide immagini tutte di grandi dimensioni, realizzate da Marco in anni di lavoro attraverso numerosissimi musei italiani, alla ricerca dei tesori nascosti nei loro depositi.
La mostra si chiama "DEPOSITI | Immagini dai Musei Italiani"  è a Villa Bardini a Firenze in  Costa San Giorgio 2, visitabile fino a domenica 21 febbraio dalle ore 10.00 alle 19.00.
Raramente si vede una mostra fotografica di questo livello per un fotografo italiano, invitiamo davvero tutti coloro che possono ad andare a visitarla.
Per info e prenotazioni: bardinipeyron

 

giovedì 14 gennaio 2016

Aldo Sardoni per Gianni Pezzani

"Anthologia" è una mostra divisa in parti, ogni parte, ogni progetto, è racchiuso in una stanza e questo consente al visitatore di raccogliersi, anche fisicamente, con esso così da poterlo apprezzare e comprendere meglio.
Il percorso fotografico di Pezzani è lungo, così i progetti fotografici, nei decenni, sono stati pensati e realizzati in modo assai diverso fra loro.
Uno di questi riguarda le fotografie notturne, in particolar modo "Milano di notte".
In occasione della mostra Aldo Sardoni ha scritto l'introduzione alle immagini notturne, che può essere letta durante la visita all'esposizione.
Per una maggiore divulgazione, Sardoni gentilmente ci ha inviato il testo che di seguito pubblichiamo, con l'augurio che sia utile a chi vorrà approfondire i progetti fotografici notturni di Gianni Pezzani anche se non ha avuto la possibilità di andare a Parma per vederli di persona.




Milano di Notte

Milano di notte, assieme al  lavoro su Parma e Brescia, sono tre lavori di Gianni Pezzani che trovo estremamente interessanti nel panorama della fotografia contemporanea italiana, non solo per la qualità dell’immagine fotografica in se, ma anche e soprattutto per il progetto ed il periodo in cui è stato realizzato.
Oggi molti fotografi, forse anche grazie al lavoro di Gianni, amano cimentarsi di notte nelle città.
Pezzani è uno sperimentatore indomito probabilmente di fede nichilista, così da dare senso alla propria vita mantenendo viva le sete di conoscenza e di indagine continua, alla ricerca del piacere perpetuo. Un continuo movimento che lo porta spesso in strade diverse, a volte vicoli stretti ed incerti, spesso non riconducibili a quelle già percorse.
Affrontando i tre progetti notturni è magicamente diventato un fotografo romano, benché sia di nascita e cultura emiliana.
Osservando le sue fotografie si entra in un mondo barocco, nell’impostazione compositiva e nell’uso della luce l’autore riesce abilmente a costruire un paesaggio urbano altrimenti invisibile benché sotto gli occhi di tutti giungendo così a realizzare una delle magie della fotografia, forse la più ambita dai fotografi.
Un Barocco romano come quello costruito da Borromini e Bernini, inventori della Roma che oggi percepiamo oniricamente; costruita tutta nella nostra mente più o meno negli ultimi cinquant’anni ed assai diversa dall’aspetto attuale, una mappatura mentale che lega forma e luce dando luogo a stilemi visivi che rimandano alle figure arrotondate e goderecce ed alla loro luce unica.
Se si osserva Sant’Ivo alla Sapienza o il Convento de’ Filippini si capisce ancora meglio perché considero Gianni Pezzani un autore barocco nel trattamento della luce e nella composizione dell’immagine. Mi riferisco all’aspetto architettonico non a quello pittorico a cui spesso per vicinanza del mezzo espressivo si accostano le immagini fotografiche.
Il Barocco romano contiene in se una propria tematica dell’edonismo, che è facile incontrare osservando l’intera serie di fotografie e che arriva al suo culmine con l’immagine icona del progetto: Montenapoleone.
Montenapoleone contiene tutti gli elementi dell’edonismo milanese, la famosa via, le sue architetture, l’automobile sportiva lussuosa e “diversa” in primo piano, tutto sospeso in un’atmosfera irreale quasi fosse un set cinematografico appositamente costruito per invitarci ad una riflessione più approfondita del nostro modo di percepire e vivere il mondo.
Caravaggio con i suoi lavori professava l’adesione alla realtà così come davvero è, con le sue miserie, le prostitute, i bari, i ladri, ecc., Pezzani viceversa costruisce una realtà diversa dal reale senza alcuna manipolazione digitale ma solo con i mezzi propri del fotografo. Si comporta come un autore fotografico più che come un fotografo nel senso corrente del termine. Un artista che ha bisogno della macchina fotografica per scrivere, così come un pittore usa il pennello o uno scrittore la penna. Non ci si trova davanti alla stupidità digitale, importata dal mondo pubblicitario ed alimentata dalla tecnologia che consente a chiunque di fare il fotografo, di colpire lo spettatore con effetti speciali trasfigurando le immagini in una superfetazione plurima di artifici necessari quasi sempre a stupire per sopperire alla mancanza di cose da dire.
Non è Hollywood ma l’Europa.
Non indaga la parte esteriore, ma la nostra coscienza.
Siamo il Continente di Schopenhauer, Nietzsche, Freud, e questo si percepisce nel Pezzani notturno.
Osservando attentamente le immagini si sente la presenza dell’essere umano benché non si veda, allo stesso modo di Gabriele Basilico Pezzani non inserisce la figura umana nelle sue composizioni, non ama il ritratto eppure questo senso di isolamento paradossalmente ci rimanda alle persone che non ci sono ma hanno costruito e vissuto ciò che si vede.
Non fotografandole l’autore ci consente di immaginarle fornendo ad ogni spettatore la possibilità di un’interpretazione diversa.
Non è solo il buio che affascina ma il compimento di un lavoro assai articolato e significante; in cui ritrovo il pensiero di Jeff Wall quando scrive che “l’immagine occidentale naturalmente, è quella del tableau, quella raffigurazione e composizione, bella in sé, che deriva dall’istituzionalizzazione della prospettiva e della figurazione drammatica alle origini dell’arte occidentale moderna, con Raffaello, Dürer, Bellini, e gli altri ben noti maestri(1).
In particolare Milano di Notte, il cui fascino è certamente legato anche alla bellezza e dimensione della città rispetto alle altre due, mi sembra che contribuisca a stare dentro l’idea nietzscheana della Nascita della Tragedia :
“Avremo conquistato molto per la scienza estetica quando saremo giunti alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente” (2).
Gianni Pezzani costruisce una Milano dionisiaca, una realtà metafisica che è tipica della costruzione dell’ arte.
La sua ricerca ora lo sta portando in altri luoghi i cui esiti conosceremo altrove.

© 2015 Aldo Sardoni | Milano
                                                                                                      Riproduzione riservata



(1)     J. Wall, Scritti sull’arte e la fotografia”, Quodlibet, Macerata, 2013

(2)     F.W. Nietzsche, La nascita della tragedia”, Adelphi, Milano 1977

Gianni Pezzani | Anthologia

Maria Cristina de Zuccato con Noema Gallery e la curatèla di Aldo Sardoni ha presentato la mostra di Gianni Pezzani inaugurata a Parma il 19 dicembre scorso presso la sede del Credit Suisse in via Pisacane 1/b.
La mostra è molto bella e ben curata e le fotografie raccolgono buona parte del percorso artistico di Gianni Pezzani, racchiuse in diverse stanze ognuna delle quali contiene un tema ed un percorso dell'artista fotografo.
La mostra rimarrà aperta fino al 29 febbraio 2016 ed è aperta a tutti con ingresso gratuito.
Le fotografie in mostra possono essere acquistate rivolgendosi per mail o telefono a Noema Gallery


Maria Cristina de Zuccato e Gianni Pezzani